Se è vero che a Pasqua vanno di moda le uova di cioccolato, nelle Marche esiste anche un “lato salato” da assaporare e gustare!
Nel pesarese, la chiamano “crescia brusca”… nell’ascolano “crescia di Pasqua”… ma ha anche altri nomi come “ciaccia”, “torta” o “pizza al formaggio”! È quel lato salato della Pasqua, non solo delle Marche ma del cuore dell’Italia.
Lì dove gli Appennini fanno da cerniere e le tradizioni tengono insieme lembi di Toscana, dell’Abruzzo, del Lazio e tutta l’Umbria (regione che ha registrata questo pane come Prodotto Agroalimentare del Territorio al Ministero delle Politiche Agricole).
Un gran lievitato, la “Pizza di Pasqua” che non s’improvvisa, chiede scienza, conoscenza ed esperienza. L’impasto deve essere lavorato molto a lungo per formare la maglia glutinica e favorire la lievitazione che deve essere doppia per regalare leggerezza.
Una delizia del folklore che vanta un prestigioso curriculum letterario: è citata nelle Tavole Eugubine del III-II sec a.C., testo rituale in lingua umbra, etrusca e latina e pure da Catone nel suo trattato “De Agri Cultura” dove la “torta” si veste d’alloro.
La ricetta dell’Antica Roma è anche molto semplice: tagliare 300 grammi di formaggio, pestarlo nel mortaio e impastare bene con 150 grammi di farina e mezzo uovo. Dare all’impasto una forma circolare. Ricoprire la teglia di foglie di alloro e posizionare sopra il libum (focaccia). Mettere il testum (coperchio contenente la brace) sopra la teglia, con carboni caldi sopra e sotto. Cuocere per 20-30 minuti fino a fare dorare. Originale con il camino, ma funziona bene con un forno ventilato.
La bontà della Pizza di Pasqua, nasce dall’equilibrio tra gli ingredienti.
Il sapore piccante regalato dal pepe, dai vari formaggi non deve imporsi e sapiente deve essere il dosaggio dei vari formaggi.